Il genio di Dio: Michelangelo Buonarroti

Michelangelo - Creazione di Adamo
Per la rubrica artistica della Scuola San Pancrazio
Dove lo sguardo trova quiete

 

La genialità tutta italiana di Michelangelo non cessa mai di sorprenderci, di affascinarci e di sconcertarci. Il suo doloroso anelito verso l’Assoluto, verso l’Infinito, verso la Bellezza, è soprattutto anelito verso Dio.

Dove lo sguardo trova quiete questa volta vuole raccontare lo sforzo titanico di un artista che per tutta la sua vita ha cercato “a forza di levare” una liberazione, una pace mai davvero giunta. La sua verità sembra sia rimasta tra le pieghe carnali dell’Aurora alle tombe dei Medici, la sua gioia è bloccata nella delicatezza del “Tondo Doni”, la sua pace è nella presenza imponente dei giusti innanzi a Dio, nella gloriosa Cappella Sistina.

Figlio del Rinascimento, e in parte anche del Manierismo, Michelangelo fa suo il dramma della cultura del suo tempo, ma il suo centro ideale è Dio, il suo quotidiano è la lotta per possederLo.

Rinascimento e antropocentrismo

L’uomo, che nel Rinascimento si emancipa da Dio, vive costantemente sentimenti di delusione, infelicità e stanchezza, ed è qui, in questo dramma che Michelangelo agisce, è questo il teatro dove va in scena la sua poderosa opera. Credendo di lasciare antiche suggestioni, inutili timori, l’uomo del Rinascimento ha una vita magnifica e spietata, ed è la stessa vita del nostro amato Buonarroti.
La nuova libertà è davvero troppa, l’uomo non sa che farsene e giunge quindi a maledirla; la sua condanna è nel destino incomprensibile che si trova a vivere.

Michelangelo, con questa libertà aspira a raggiungere l’Assoluto e tutta la sua opera, pur nelle diverse fasi che la caratterizzano, non è che una variazione sul medesimo tema: la sete di bellezza, la nostalgia dell’anima verso il regno della pace, della luce, della riconciliazione dell’uomo con se stesso e con il mondo. Nelle sue opere, ricche di contraddizioni e angosce, leggiamo ogni suo piccolo passo in questa affannosa ricerca.

Nelle sue numerose Pietà sempre il volto del Cristo, di lato, frontale, abbandonato ma non scomposto, il volto come punto di partenza dello sguardo dello spettatore, il volto come punto di arrivo della vista. Cristo “svelato” e centrale, Cristo che attende, Cristo carico dei tutti i peccati del mondo, evidenti persino nell’uso del mesodente[*].

Genio profondamente plastico, persino nell’architettura sente il bisogno di comporre le sue forme costruttive con grandiosi accostamenti ed opposizioni di masse.

Un’opera, una vita

La sua arte nasce direttamente da un’anima impetuosa e ardente ma fatalmente chiusa in se stessa. La sua opera è il suo unico futuro, ed in questa, dimentico di se stesso, getta tutto cercando di esprimere l’interiore mare in tempesta: si pensi all’enorme fatica fisica della pittura per la cappella Sistina, in bilico su travi sconnesse, per interminabili giornate a testa in giù; o ancora, Benvenuto Cellini ci racconta che nell’ardore della fusione del Perseo, non avendo altro metallo da gettare nella forma, raccolse le stoviglie di casa sua e le fece gettare nella fornace.

Michelangelo abituato a non possedere nulla che gli attrezzi per il suo marmo, getta tutto se stesso nell’opera, e per questo, guardando una scultura noi lo vediamo improvvidamente apparirci intero ai nostri occhi con tutta la sua sofferenza e il suo divino ingegno.
In vita, austero e religiosissimo, eppure ardente e addolorato, viene così descritto dal caro amico Sebastiano del Piombo: «Non avete altro che vi faccia guerra se non voi medesimo».
Scrittore di versi, così si racconta: «la mia allegrezza è la melanconia» – «cerco l’Aurora che si desta dal sonno pieno di incubi, ancora avvolta nella Notte».

Entrando nella sagrestia nuova di S. Lorenzo a Firenze non è possibile che si cancelli l’impressione di eroico dolore che nasce dai gruppi delle tombe e riecheggia nelle membrature architettoniche da lui progettate, da quei marmi si solleva il respiro profondo e dolorante di un’umanità incatenata ma intelligente e cosciente, che invano aspira alla liberazione.

L’arte di Michelangelo passa da una tensione formidabile ad un torpore doloroso e sembra che l’opera sua parli il linguaggio della sua “Notte” che non vuole essere destata in un tempo non destinato a comprenderla.

Genio, devozione e disordine

Negli ultimi anni è ormai prigioniero di se stesso; e mai riuscirà a spezzare i vincoli che lo tengono imprigionato, perché sono fabbricati con la stoffa della sua stessa anima: sono il suo orgoglio prometeico, la sua umana superbia che trovano, in se stesse, la più cocente e tormentosa punizione.

Egli pare diventare l’uomo rinascimentale, “moderno”, che non riconosce il suo “status” di creatura e che vorrebbe strappare il fuoco agli dei, che vorrebbe farsi Iddio egli stesso; ma non lo può, e allora ricade nella vana lotta contro sé, lacerando se stesso, spesso le sue opere e la sua stessa, disperata ambizione. La sua pretesa di farsi Dio è piuttosto rinuncia ad essere soltanto uomo, cioè persona, capace di vivere secondo una norma, un fine ed una meta.

Egli è smisurato, generoso, ma angusto; proteso verso l’Assoluto, ma, nello stesso tempo, imprigionato nel carcere dell’Ego. Michelangelo non esce mai veramente da se stesso: ecco perché tutte le sue figure, tutte le sue opere, rispecchiano una profonda, tragica malinconia: è l’eterno Adamo che si è lasciato tentare ed è stato cacciato dal Paradiso terrestre, e anela a ritornarvi, ma non possiede sufficiente umiltà per chiederlo, per cercare la direzione giusta, per espiare la colpa commessa.

Michelangelo sembra aver anticipato il dramma della società moderna, la civiltà della ricerca, che ha perduto Dio; egli crede ancora, Lo desidera, Lo invoca, ma tutto quello che può fare è renderlo percettibile nel candore glorioso del marmo.

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[*] Presenza di un incisivo mediano, anomalia anatomica nota come hyperdontia. Il quinto incisivo è chiamato mesiodens. In Michelangelo le figure col mesiodens nella volta della Sistina corrispondono a personaggi ante gratiam, vale a dire vissuti prima di Cristo e perciò non redenti ancora. Altro gruppo con il quinto incisivo, sempre nella cappella Sistina, è quello dei demoni e dei dannati, degli oppositori della fede, in generale i sine gratia.